Nelle Chiese Ortodosse autocefale storicamente è loro prerogativa riconoscere titoli conferire onorificienze cavalleresche oppure concedere titoli di grazia

Le benemerenze conferite non a scopo di lucro ma ad alto contenuto spirituale, sono per  chi le riceve un alto impegno  morale e di fede, (indipendentemente dal sistema Dottrinale seguito) per loro stessa natura, quindi non ricadono nei dettami della Legge 178 del 3 marzo 1951. in considerazione  che sono posti sotto il patrocinio della Chiesa Ortossa AutocefalaNelle

 

lla concessione in Italia d’un titolo nobiliare dativo (contrapposto a un titolo nobiliare nativo, cioè ereditato e posseduto sin dalla nascita) attualmente, avviene in virtù di meriti riconosciuti alla persona e a seguito dell’esercizio delle prerogative sovrane di quanti, Principi Pretendenti secondo la storia, il diritto o l’accertamento giurisdizionale, ne siano giuridicamente titolari.

 

Tale concetto è stato assunto in ogni tempo dalle Case già regnanti: ove manchi la debellatio, cioè la volontaria e spontanea rinuncia a ogni diritto di pretensione, e i Principi siano in regola con le regole disciplinanti la successione secondo i propri ordinamenti, sorge la figura del principe pretendente al trono, in cui si accentrano le seguenti prerogative:

 

il jus imperii, cioè la potestà di comando;
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il jus gladii, vale a dire il diritto all’obbedienza da parte dei sudditi;

 


il jus majestatis, cui consegue il diritto a ricevere difesa e onori;
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il jus honorum, cioè il diritto di premiare, concedere onorificenze, dignità nobiliari e cavalleresche, o la facoltà di investire altri della potestà di concedere tali onori.

 

Un Sovrano, ancorché abbia abbandonato o gli sia stato imposto di lasciare il suolo Patrio, conserva intatte quelle prerogative a cui non è di ostacolo la mutata posizione istituzionale, mentre le altre sono sospese: secondo la magistratura italiana – che ha fatto applicazione dei principî mutuati dal diritto internazionale ­ il jus honorum è diritto intangibile e imprescrittibile della Casa Sovrana.

 

Ne consegue che un titolo nobiliare ( con predicato, qualifica e stemma ) concesso oggi, se meritato, non diverge concettualmente da quelli assunti nei secoli trascorsi ( ancorché dativo e non nativo ), e ciò perché emanazione della prerogativa sovrana ( rex tantum nobilem facere potest ): il suo uso, la sua trasmissione, &c., sono regolati dall’atto esecutivo del decreto di investitura, vale a dire dalle “ Lettere Patenti ”.

 

Infatti, le sentenze che accertarono nei vari discendenti delle diverse dinastie la qualità nativa di pretendenti al trono riconobbero loro, per ciò stesso, la prerogativa di concedere titoli nobiliari e cavallereschi degli Ordini di pertinenza della propria Casa sovrana.

 

La magistratura italiana, nella commistione fra ordinamento repubblicano e norme del passato ordinamento nobiliare, adattò i diritti e le successioni nobiliari alla normativa vigente.

 

Ne consegue:

 

il diritto di tutti i discendenti, maschi e femmine, alla trasmissibilità di qualunque prerogativa, titolo, qualifica o predicato, risultanti legittimamente in capo all’intestatario, senza tenere in alcun conto ­ in contrasto con l’art. 40 del R. D. 7 giugno 1943, n. 651, approvante il nuovo Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano, che prevede la successione nei titoli unicamente per l’agnazione maschile ­ le condizioni di trasmissibilità indicate nell’originaria concessione;

 

quanto accertato viene considerato valido ai fini dello stato civile non con valore di titolo o predicato ma come parte del cognome;
• prevalenza, nella successione nei titoli, del grado sulla linea ( in contrasto con l’art. 54 del R. D. 14 giugno 1928, n. 1430, che, nella successione dei collaterali, preferiva la linea sul grado);

 

possibilità di prova fornita per via giudiziaria del legittimo possesso di un titolo ( ipotesi esclusa dall’ordinamento nobiliare );


 

 diritto al Sovrano spodestato di concedere titoli, trasmissibile ai successori purché non debellati ( e non incentrato esclusivamente nel Sovrano già regnante, la cui posizione particolare è sottesa alla mancata rinuncia alla pretensione, che gli Stati ove le Dinastie hanno esercitato le loro sovrane prerogative non possono vanificare se non ottenendo il volontario abbandono del diritto, cioè rendendo perfetta la debellatio ).

 

Tutto ciò denota che il Sovrano spodestato conserva un ben preciso diritto, basato sull’ereditarietà, che in concreto si identifica nella pretenzione al trono perduto, ciò che lo legittima a conferire i titoli nobiliari, onorificenze e distinzioni cavalleresche appartenenti al patrimonio araldico della dinastia.

 

La magistratura italiana riconobbe quindi il jus honorum ai Sovrani spodestati e ai loro discendenti, purché non debellati e in regola con le disposizioni regolanti la successione secondo il rispettivo ordinamento.

 

Per chiarezza, ciascuna Casa Sovrana che abbia esercitato la sovranità su tutto o parte il territorio della penisola italiana vanta gli stessi diritti su di esso.

 

Questa lunga premessa vale a dimostrare l’assunto secondo cui, per il diritto internazionale, la concessione nobiliare prescinde da rapporti costituiti con la cosa pubblica e con la Patria di appartenenza del concessionario, per essere riservata a persone distintesi per azioni rivolte a favore della Casa Sovrana, per atti indipendenti di valore e di carità o per il riconoscimento di benemerenze, conseguite privatamente o pubblicamente, che abbiano toccato la sensibilità del principe pretendente.

 

Pertanto, una casata principesca, già sovrana, mantiene sempre il carattere di dinastia, il cui attuale Capo di Nome e d’Arme conserva titoli, prerogative e spettanze dell’ultimo sovrano spodestato, con il nome di principe pretendente, abbia ora il trattamento di Altezza Imperiale, Altezza Reale o di Altezza Serenissima.

 

In Italia, le Case Sovrane con queste prerogative sono diverse. Ricordiamo, fra le altre, accertate come tali in forza di sentenza, le seguenti dinastie:

 

Paternuense ­ Balearide;
d’Altavilla ( seu d’Hauteville ) Sicilia ­ Napoli;
Amoriense d'Aragona;
Angelo Comneno di Costantinopoli;
Paleologo di Bisanzio;
Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi.

 

Quindi, la giurisprudenza italiana degli scorsi decenni ha statuito che i discendenti di qualsivoglia dinastia non debellata posseggono la fons honorum, e se è pur vero che le sentenze fanno stato solamente fra le parti, i loro eredi o aventi causa, è altrettanto indiscutibile il valore di precedente che le decisioni assumono nei confronti d’ogni caso analogo rispetto a una determinata dinastia.

 

A tal proposito, si riproducono, a mero titolo d’esempio, estratti di sentenze emanate in epoca Regia e repubblicana riguardanti case sovrane che ottennero l’avallo della giurisprudenza: Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi; Lascaris Comneno Flavio Angelo Lavarello Ventimiglia di Turgoville; Paternò Castello di Carcaci; d’Altavilla ( seu d’Hauteville ) Sicilia Napoli ( innumerevoli sono le pronunce riguardanti altre Case Sovrane, fra cui Amoroso d’Aragona, &c. ).

 

Così, S. A. I. Don Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi, Porfirogenito della stirpe costantiniana dei Focas Angelo Flavio Ducas Comneno, nato a Napoli il 15 febbraio 1898 e deceduto in Roma il 15 aprile 1967, principe imperiale di Bisanzio, principe di Cilicia, principe di Macedonia, principe di Tessaglia, principe di Ponto, principe di Illiria, principe di Moldavia, principe della Dardania, principe del Peloponneso, &c. &c., duca di Cipro, duca di Epiro, duca e conte di Drivasto e Durazzo, &c. &c., fu confermato dalle sentenze 18­07­1945, n. 475, IV Sezione, del Regio Tribunale Civile di Napoli, e 07­08­1946, n. 1138, IV Sezione, del Tribunale di Napoli ( repubblica italiana ), erede di Costantino I Magno Imperatore e discendente legittimo della più antica dinastia imperiale bizantina vivente.

 

Infatti, la Regia sentenza 475/1945, cit., decise che il principe Antonio De Curtis­Gagliardi è “ discendente diretto mascolino legittimo della famiglia imperiale dei Griffo­Focas ( ... ), con gli onori e diritti di Conte Palatino, oltre agli altri titoli, onori e diritti che gli competono per la predetta discendenza. ”

 

La sentenza 1138/1946, cit., ordinò all’ufficiale dello stato civile di Napoli di rettificare l’atto di nascita di Antonio De Curtis­Gagliardi, annotando in calce allo stesso atto che “ compete al neonato la qualifica di Principe ed il trattamento di Altezza Imperiale, quale rappresentante, in linea diretta, mascolina e legittima, della più antica dinastia imperiale bizantina vivente. ”

 

In seguito, il tribunale di Napoli, con sentenza 01­03­1950, definì S. A. I. Antonio “ erede e successore delle varie dinastie bizantine dell’Imperatore Costantino il Grande, ” ordinando all’ufficiale dello stato civile di Napoli di rettificare l’atto di nascita del Principe “ nel senso che vi si legga: Focas­Flavio­Angelo­Ducas­Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi Antonio. ”

 

La citata sent. 1138/1946 ordinò “ altresì all’Ufficiale dello Stato Civile di Roma di annotare in calce all’atto di nascita della figlia del Principe Antonio De Curtis, a nome Liliana, la qualifica di Principessa. ”

 

Infine, con sent. 1° marzo 1950, il tribunale civile di Napoli, IV sezione, ordinò “ all’ufficiale dello stato civile di Roma di procedere a simile rettifica del cognome della Principessa Liliana de Curtis Griffo Focas, figliuola di detto Principe Antonio ”, nel senso che vi si legga “ Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi, ” e affermò che “ gli Imperatori Bizantini erano successori ed eredi di tutti i diritti despotali, onori e titoli degli Imperatori che li avevano preceduti. Pertanto, non v’ha dubbio che il ricorrente, quale unico erede e successore vivente delle varie dinastie bizantine, dall’Imperatore Costantino il Grande in poi, riassumendo nella sua persona tutti i diritti,

 

onori e titoli che essi godevano, abbia anche il diritto incontestabile di riprendere tutti i titoli di cui le loro famiglie si fregiavano. ”

 

Analoghe considerazioni valgono per lo stralcio della sentenza 10­09­ 1948, n. 5143 bis, n. 23828/48 R. G., della VII sezione della pretura di Roma, che riconobbe a Sua Altezza Imperiale il principe Don Marziano II Lascaris Comneno Flavio Angelo Lavarello Ventimiglia di Turgoville la spettanza dei titoli di Basileus titolare di Costantinopoli; Capo della Casa Lascaris Comneno; Despota di Nicea e della Bitinja; erede Porfirogenito dei Nemanja Paleologo; Pretendente all’imperiale trono di Bisanzio e di erede della dinastia del Sacro Impero di Oriente ovvero dell’Augustissima Comnenia dei Principi Lascaris, che si ricongiunge all’imperatore Costantino il Grande, nonché la capacità di compiere atti di sovranità quale Porfirogenito e continuatore di una Augusta Stirpe già Sovrana ( e per di più spodestata senza debellatio, che, oltre a conferire gradi cavallereschi dell’Ordine del suo patronato, concede anche titoli nobiliari e di volontaria giurisdizione ).

 

La Pretura, in tale sentenza osservò altresì, a proposito della tesi della continuità delle prerogative delle Famiglie Sovrane ( Famiglie da molto tempo spodestate dei loro Troni ), che la prerogativa cosiddetta regia è una prerogativa jure sanguinis che ha solo il Re e Principe sul Trono, che trasmette ai suoi successori anche quando, per vicende varie, vengono privati del possesso territoriale e che si conservano nei secoli anche quando la dinastia ha perduto praticamente il Trono ed è stata deposta legalmente. Si arguisce – continua la sentenza ­ che il Capo della Casa Lascaris, discendente dalla dinastia dei Flavio Comneno Ducas estromessa con la forza, conserva anche in esilio tutte le prerogative dei Sovrani Regnanti e può compiere ogni atto che gli compete, e gli atti che egli compie hanno valore giuridicamente.

 

Altro estratto proviene dalla sentenza 27­06­1949, n. 114, n. 217/49 R. G., della pretura di Vico del Gargano, che riconobbe la famiglia imperiale dei Lascaris Comneno Flavio Angelo Lavarello Ventimiglia di Turgoville, impersonata da S. A. I. Don Marziano, Basileus Titolare di Bisanzio, può conferire investiture nobiliari, benché le Dinastie destituite con la forza, conservano intatte tutte le loro prerogative, quindi pieno diritto possono concedere titoli nobiliari alle persone degne e meritevoli; quello che giova e sorregge – osserva la sentenza ­ è il decreto di nomina, cioè l’atto potestativo di conferimento; per conseguenza come del resto riconosciuto in altri casi dalla Magistratura italiana ( cfr. Ordinanza 28 maggio 1947 del Tribunale di Napoli ) la Dinastia Lascaride Angelica Flavia Comneno Ducas, estromessa con la forza dai fastigi del potere imperiale, conserva tutte le prerogative dei sovrani regnanti.

 

Tre sentenze riguardanti la dinastia Paternuense Balearide hanno confermato la consanguineità con la Casa d’Aragona – Majorca ­ Sicilia e la legittimità della relativa fons honorum.

 

La prima, della pretura unificata di Bari, 03­03­1952, n. 485, divenuta irrevocabile nelle forme di legge, ha accertato che “ la Famiglia Principesca dei Paternò ebbe origine da Giacomo I il Conquistatore, discendente dai conti di Guascogna, del Re di Navarra e dei Re di Castiglia ”; la seconda, 05­06­1964, n. 119, del Tribunale Penale di Pistoia, sezione unica, ha espressamente confermato la legittimità della fons honorum del rappresentante massimo della Real Casa Paternò, in quanto la legittimità del pretendente della famiglia Paternò deriva dalla discendenza legittima e provata di un membro della Real Casa d’Aragona; la terza, sentenza arbitrale 08­01­2003, n. 50, dichiarata esecutiva con decreto del Presidente del Tribunale Ordinario di Ragusa 17­02­2003, n. 177, ha dichiarato che competono al Capo della Real Casa “ le prerogative sovrane connesse allo jus majestatis ed allo jus honorum, con la facoltà di conferire titoli nobiliari, con o senza predicato, stemmi gentilizi, titoli onorifici e cavallereschi relativi agli ordini ereditari di famiglia; la qualità di soggetto di diritto internazionale e di gran maestro di ordini non nazionali ai fini della legge 3 marzo 1951, n. 1978 ”.

 

Le sentenze del Tribunale di Napoli, IV sez. civ., 30­11­1949, n. B/4549/49, e I sez. civ. 30­07­1956, n. B/2337/56, accertarono nei principi Mario e Cesare le qualifiche “ di Principe Reale d’Altavilla (d’Hauteville) e di Principe di Sangue porfirogenito, Principe Reale di Sicilia e di Napoli, Duca delle Puglie, Duca di Sicilia, Conte di Lecce, Duca di Capua, Principe di Taranto, Principe di Bari e di Principe di Antiochia, quale legittimo pretendente al trono di Napoli e di Sicilia, con trattamento di Altezza Reale, ed erede e capo della Augusta Reale Dinastia Normanna e di Sicilia ”, in quanto “ i Cilento (seu Cilenti, de Cilento) sono la continuazione genealogica e storica del ramo superstite dei Normanni d’Altavilla di Sicilia e di Napoli e precisamente i discendenti di Guglielmo d’Altavilla, Conte di Principato (l’attuale regione del Cilento) uno dei figli di Tancredi d’Hauteville. Essendo tutto ciò in questa sede provato, ne consegue che il ricorrente è il capo della casa Normanna d’Altavilla di Sicilia e di Napoli e pertanto a lui spetta, per sé e per i suoi successori maschi e femmine all’infinito tutte le qualifiche, prerogative, attributi e trattamenti che gli competono. Pertanto il ricorrente ha diritto alla qualifica di Princeps Natus ovvero Principe di Sangue, oltre a tutte le titolarità o titolature che gli competono quale soggetto di diritto internazionale quale depositario di tutti i diritti della famiglia e di curatore della sua casa, ai troni di Sicilia e di Napoli e dell’Italia Meridionale ”, il dispositivo della sentenza in esame, rettificando gli atti dello stato civile, ordinando che il ricorrente vi risulti “ S.A.R. il Principe Reale Cesare d’Altavilla (seu d’Hauteville) Sicilia­Napoli ”.

 

Infine, oltre sedici sentenze di Pretura e Tribunale, Regie e repubblicane, hanno accertato la legittimità della Casa Imperiale Amoriense d’Aragona e dei suoi ordini cavallereschi; più di dieci sentenze di tribunali repubblicani hanno riconosciuto titoli e predicati della medesima Casa.

 

Si può ragionevolmente concludere tale disamina affermando, sulla scorta di quanto affermato dalla giurisprudenza italiana, che un sovrano potrà anche essere stato privato del trono ­ e financo bandito dallo Stato su cui esercitò la sovranità ­ ma non potrà mai essere spogliato della sua qualità nativa: in questa fattispecie, ha origine il pretendente al trono, che mantiene intatti quei diritti della sovranità al cui esercizio non è di ostacolo la mutata posizione giuridico­ istituzionale, fra cui il jus honorum, cioè il diritto di conferire titoli nobiliari e gradi onorifici di ordini cavallereschi di collazione ed ereditari facenti parte del patrimonio dinastico della famiglia.



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